La meccanicità può uccidere? Si, anche coloro che ami

E’ acca­du­to ieri a Pia­cen­za: un uomo ha dimen­ti­ca­to in auto per tut­ta la gior­na­ta il figlio che dove­va por­ta­re all’a­si­lo, pro­vo­can­do­ne la mor­te. Non è la pri­ma vol­ta e non sarà sicu­ra­men­te l’ul­ti­ma che si leg­ge­rà di que­sti eventi.

Il padre e la madre del bim­bo mor­to sono entram­bi sot­to shock al pun­to da dover esse­re rico­ve­ra­ti essi stes­si. Il dolo­re che pro­va e il rimor­so che pro­ve­rà que­st’uo­mo sono tre­men­di, e non lo si può di cer­to invi­dia­re ne, secon­do me, con­dan­na­re più di tanto.

E’ ovvio che non vole­va di cer­to fare del male al pic­co­lo ed è altret­tan­to ovvio che non si trat­ta di uno sban­da­to con pro­ble­mi di qual­che natu­ra. E’ una per­so­na come tan­te, come tutti.

La mec­ca­ni­ci­tà è da risol­ve­re inve­ce anzi, più che da risol­ve­re, da estirpare.

Quel­lo che è acca­du­to in que­sto caso è che la men­te ordi­na­ria, con la rou­ti­ne quo­ti­dia­na ormai codi­fi­ca­ta qua­si a livel­lo gene­ti­co, ha com­ple­ta­men­te eli­mi­na­to il ricor­do di quel­lo che il padre dove­va fare, fino alla sera.

Tut­to in lui è sta­to auto­ma­ti­co, ogni gesto, ogni istan­te del­la gior­na­ta sono sta­ti iden­ti­ci a quel­li di sem­pre. Per que­sto non c’è sta­to spa­zio nel­la memo­ria per ricor­da­re che il bim­bo dove­va esse­re por­ta­to all’asilo.

La rou­ti­ne quo­ti­dia­na che tut­ti ten­do­no a con­si­de­ra­re un male neces­sa­rio di que­sti tem­pi, non è affat­to indi­spen­sa­bi­le, ancor meno neces­sa­ria. La rou­ti­ne, ovve­ro la ripe­ti­zio­ne costan­te di cicli di atti sem­pre ugua­li, è quan­to di peg­gio esi­sta, poi­ché è essa stes­sa cau­sa prin­ci­pa­le del­la mec­ca­ni­ci­tà che produce.

Ese­gui­re una serie di gesti sem­pre ugua­li, in assen­za di altri sti­mo­li, ma soprat­tut­to in assen­za di quel­la che vie­ne defi­ni­ta pre­sen­za, può por­ta­re anche a con­se­guen­ze estre­me come questa.

L’uo­mo non è di cer­to da bia­si­ma­re, quan­to l’as­sur­di­tà del­la vita che qua­si tut­ti noi ten­dia­mo a con­dur­re. Un’as­sur­di­tà com­ple­ta, tota­le che, come in que­sto caso, ha por­ta­to al son­no coscien­zia­le com­ple­to il pove­ro padre piacentino.

La mec­ca­ni­ci­tà non è affat­to un male neces­sa­rio, ma il peg­gio­re dei mali e il più inu­ti­le in assoluto.

Al tem­po stes­so, anche il più dif­fi­ci­le da com­bat­te­re: un nemi­co agguer­ri­to che, in alcu­ni casi limi­te come que­sti, può por­ta­re alla mor­te di colo­ro che più amiamo.

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